lunedì 15 luglio 2013

Non è un calcio per favole

La prima storica promozione in Serie A del Sassuolo potrebbe far sembrare questo articolo fuori luogo ma, andando oltre le apparenze, si scopre come il calcio italiano sia refrattario ai piccoli club.
Sassuolo è un piccolo centro industriale del modenese che conta solo 40mila abitanti ma, grazie all'ambizioso patron Giorgio Squinzi, fondatore del colosso Mapei ed attuale presidente di Confindustria, può vantare un club di Serie A. E' proprio grazie ai corposi investimenti del mecenate dell'edilizia che i sassolesi hanno bruciato le tappe fino alla massima serie, vagabondando di stadio in stadio ad ogni salto di categoria: dopo aver lasciato Sassuolo assieme alla Serie C, i raminghi neroverdi faranno le valigie anche dalla provincia di Modena per giocare nello stadio di Reggio Emilia a partire dalla prossima stagione.

Ma cosa succede a chi manca di un facoltoso mecenate, per di più abilissimo nell'arte della gestione, come Squinzi?
Come mostrato nella figura sottostante, il destino dei club di comuni sotto i 15000 abitanti transitati per il professionismo dalla stagione 2008/09 (l'inizio dell'era "Lega Pro") è stato nefasto: gli alti costi di gestione del professionismo, uniti agli introiti strutturalmente ridotti per società di piccole dimensioni ed alle congiunture economiche degli ultimi anni, hanno portato al fallimento di ben 15 società sulle 19 che sono riuscite a toccare con mano la gioia del professionismo. Numeri da Re Mida...al contrario.
Facendo un passo indietro a quando la Lega Pro si chiamava ancora Serie C, si denota come, ad oggi, le formazioni dell'ultima Serie C1 -stagione 2007/08- non fallite in questi ultimi cinque anni non formerebbero un solo girone di terza serie (i numeri della C2 sono da mani nei capelli).

La continuità di gestione è visibilmente una chimera per la Lega Pro che, anno dopo anno, si trova decimata e costretta a stravolgere i verdetti del campo per far fronte alle mancate iscrizioni. Le tribolazioni dei tifosi non riguardano più il calcio giocato*, ma la gestione economica: tutti sanno di non essere al sicuro (neanche le società più solide, vedasi caso-Nocerina) e si tira a campare aspettando il sole di una promozione o un nuovo campionato.
La costante prospettiva di ritrovare la propria squadra ferma, lontana dal campo, con il titolo sportivo ostaggio del tribunale rappresenta la morte del calcio dei campanili, della passione su cui si fonda l'Italia del pallone.
I costi del calcio moderno minano la sopravvivenza delle "PMI dello sport", tutelando soltanto chi tifa per una squadra vincente, di Serie A. Vogliono che ovunque si tifi Juventus, Milan e Napoli a spese delle categorie minori, dove il business non ha ancora sradicato totalmente quel pizzico di localismo che rende bello lo sport, quelle dove club che incarnano la storia di città e quartieri si lasciano morire.
Support your local football team or support nobody at all

*in particolar modo i tifosi delle squadre che parteciperanno alla Prima Divisione 2013/14, che non prevede alcuna retrocessione

Giuseppe Brigante

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