"Che vinca il migliore!" "Speremo di no!"
- Nereo Rocco
Catenacciari e difensivisti, i più classici dispregiativi affibbiati all'Italia del calcio. Ebbene sì, la storia del calcio mostra come i nostri club siano maestri nell'arte di lasciar giocare gli altri: giocando con l'obiettivo di non prenderle, le squadre nostrane hanno riempito di trofei le bacheche e raffinato la tattica del contropiede.
L'invenzione del "catenaccio all'italiana" risale ai primi anni del dopoguerra: era il 1947, quando la neopromossa Salernitana si ritrovò ad affrontare per la prima volta corazzate come il Grande Torino, così l'allenatore dei granata, tal Giuseppe "Gipo" Viani, s'inventò una rivoluzione tattica per cercare di arginare le scorribande offensive degli avversari, basandosi sul tradizionale "sistema" (3 difensori centrali - 2 mediali - 2 mezzali - 2 ali offensive - 1 centravanti).
La soluzione di Viani prevedeva l'eliminazione del ruolo del centravanti, spostando la maglia numero 9 al mediano Piccinini (padre del telecronista Sandro), e l'arretramento di un mediano (il numero 6) dietro i 3 difensori canonici, "libero" da marcatura fissa, con il compito di raddoppiare le marcature ed intervenire in caso gli attaccanti fossero riusciti a superare la linea difensiva.
La soluzione di Viani prevedeva l'eliminazione del ruolo del centravanti, spostando la maglia numero 9 al mediano Piccinini (padre del telecronista Sandro), e l'arretramento di un mediano (il numero 6) dietro i 3 difensori canonici, "libero" da marcatura fissa, con il compito di raddoppiare le marcature ed intervenire in caso gli attaccanti fossero riusciti a superare la linea difensiva.
In fase offensiva, attaccando senza centravanti, la Salernitana sfruttava le corsie laterali allargando le difese sistemiste in modo da creare varchi centralmente per le mezzali d'incursione.
L'avventura della Salernitana del vianèma però si concluse al quartultimo posto, con la retrocessione dei campani per un solo punto dalla Roma, vincitrice dello scontro diretto della penultima giornata con il punteggio di 1-0.
Nella stessa stagione una soluzione simile è applicata anche dalla Triestina di Nereo Rocco: il suo 1-3-3-3 prevedeva l'arretramento di una mezzala in posizione di mediano, e quindi lo spostamento del numero 6 in posizione di libero. I risultati raggiunti da Rocco furono incredibili: la Triestina termina la stagione 1947/48 al 2° posto dietro il Grande Torino e dopo due anni "paròn" Rocco porta il Padova in 3° posizione.
La massima espressione del "catenaccio all'italiana" avviene negli anni '60: Nereo Rocco guida del Milan alla conquista di 2 scudetti, 2 Coppe dei Campioni, 1 Coppa Intercontinentale ed 1 Coppa delle Coppe, mentre dall'altra sponda di Milano, l'Inter di Helenio Herrera vince 3 scudetti, 2 Coppe dei Campioni e 2 Intercontinentali...sono i primi trofei internazionali vinti da club italiani.
La Grande Inter di Herrera è forse la massima espressione del catenaccio, con la collaudata difesa formata da Picchi nel ruolo di libero e la linea a 3 Burgnich-Guarneri-Facchetti. Il faro della squadra era il play-maker Luisito Suarez, che con i suoi lanci aveva il compito di creare gioco offensivo per le azioni dell'incursore Mazzola e del tridente Corso-Domenghini-Jair.
Nel nord-Europa, come reazione alle italiane catenacciare, si diffuse la filosofia del "calcio totale", che sarebbe stata la dominante negli anni '70.
La finale della Coppa dei Campioni 1967 segna il simbolico passaggio di consegne tra queste due grandi scuole tattiche: il Celtic batte l'Inter 2-1 in rimonta, tirando in porta più di 40 volte.."La loro è stata la vittoria dello sport", parola di Herrera.
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